Il Cibo è Politica
Le nostre scelte alimentari influenzano il mondo e possono contribuire a contrastare (o sostenere) ingiustizie politiche e conflitti.
Una pasta al pomodoro. Un piatto così modesto, fatto di pochi ingredienti, facile da preparare, buono nella sua semplicità e simbolo della tradizione italiana. E se ti dicessi che, mangiando questo piatto, potresti anche tu stare inconsciamente finanziando il genocidio in Palestina? L’acqua che beviamo, la pasta che mangiamo, l’olio che usiamo, ogni alimento che consumiamo e dove lo compriamo, è una nostra scelta che va a supportare, che lo si voglia o meno, una certa politica.
Oggi, è sempre più evidente come le nostre scelte, anche quelle apparentemente insignificanti, possano avere un grande impatto sulle politiche interne ed estere. In particolare, nel 2024 il settore alimentare italiano ha esportato direttamente in Israele prodotti per un valore di 440 milioni di euro. Per ogni prodotto esportato si paga una tassa al governo, i cui soldi andranno a finanziare le varie spese statali, tra cui le spese del settore bellico. I dati del 2024, fanno notare come la spesa militare israeliana, e quindi anche bombe, droni, munizioni e altri tipi di sostegno all’IDF nel compimento del genocidio in Palestina, ammonti a 46,5 miliardi di dollari americani.
È proprio a partire da questi dati e dal coinvolgimento diretto dell’Italia nel finanziamento del genocidio attraverso i suoi prodotti, che nascono movimenti di boicottaggio gastronomico e ribellioni interne di cittadini che non vogliono che i prodotti gastronomici made in Italy, di cui tanto si va fieri, finanzino il massacro di migliaia di innocenti.
BDS - Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni
Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) è un movimento che nasce in supporto alla lotta per una Palestina libera, promuovendo e sostenendo il semplice principio per cui i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell'umanità. Questo movimento esige che istituzioni, cittadini e aziende, anche di alimentari, ritirino i loro investimenti che contribuiscono al massacro dei palestinesi, interrompano le relazioni economiche con Israele e tutte le aziende coinvolte, e che vengano imposte sanzioni economiche che limitino o blocchino gli affari con le imprese e le istituzioni che supportano il regime israeliano.
Migliaia di imprese e cittadini di tutto il mondo hanno aderito a BDS, iniziativa che è arrivata anche a coloro che di cibo se ne intendono eccome. Qualche tempo fa, è infatti andata virale l’intervista ad alcuni ristoratori e commercianti napoletani, in cui dichiaravano di aderire al movimento perchè, nel loro piccolo, non volevano essere complici di un genocidio contro innocenti. Ma nel concreto cosa vuol dire aderire a una boicottaggio? Significa prendere una posizione e far sì che questa si rifletta nella tua attività.
In un’intervista condotta da VDNews, Nives Monda, della “taverna Santa Chiara”, ha deciso di liberare il suo spazio sicuro, la sua quotidianità, la sua taverna da prodotti, cibi e bevande, che in qualche modo vanno a finanziare direttamente le spese militari di Israele. Una presa di posizione tale su un’attività commerciale è molto più incisiva di quello che si pensa.
Nives Monda, come Simone Mollica di “L’orto va in città” o Pasquale Madonna proprietario della “macelleria Madonna”, sanno che questa scelta potrebbe portare ad una diminuzione del fatturato, a dover apportare dei cambiamenti drastici nell’attività e magari dover interrompere rapporti di anni e anni con i loro fornitori. Sanno però anche che il cibo è politica, e che alcune politiche non possono essere supportate.
È importantissimo concepire un modo di fare anche la spesa che non sia solo legato a una logica di consumo. Noi siamo non solo consumatori ma consum-attori. - Simone Mollica per VDNews

La Gaza Cola - Il Ruolo dei Supermercati nel Boicottaggio Alimentare
La volontà di aderire ad un’iniziativa di boicottaggio ci mette davanti ad un cambio necessario, che inevitabilmente impatterà, più o meno, la nostra quotidianità. Recentemente, Coop Alleanza 3.0 ha annunciato che sugli scaffali dei suoi punti vendita si vedrà sempre più Gaza Cola e sempre meno Coca Cola. Una scelta che lancia un messaggio importante, che schiera direttamente il gruppo Coop da un lato ben preciso della storia, ma che potrebbe anche avere conseguenze sui suoi clienti.
Un po’ come quando quel marchio di gelato in vaschetta che ti piace tanto, da un giorno all’altro, viene messo in produzione ed al suo posto ne spunta uno nuovo, cosa fai? Le scelte sono poche: o provi il nuovo marchio sperando sia buono tanto quanto l’altro, o vai alla ricerca di un nuovo gelato che assomigli il più possibile all’altro, oppure smetti di mangiare il gelato. La questione dietro alla Gaza Cola è certamente più complessa di una banale vaschetta di gelato messa fuori produzione, ma spinge il consumatore a porsi le stesse domande. Coop ha deciso di mettere il consumatore davanti a tre strade: compri la Gaza Cola, provi ogni altro tipo di sottomarchio sperando che ce ne sia uno che ti piaccia, cambi supermercato.
Strategia vincente o strategia che farà perdere milioni di euro a Coop? Chissà. L’obiettivo di Coop, come di chi da mesi e mesi ha smesso di fare la spesa al Carrefour dopo aver scoperto che la catena contribuisce all’apartheid e dona cibo ai soldati che lo portano avanti, non è di certo quello di attuare una strategia di marketing all’avanguardia, ma piuttosto di prendere le distanze da una pulizia etnica abominevole.
Aiuti che Uccidono - La Strumentalizzazione della Fame
C’è chi per un po’ di riso e un sacco di farina ha trovato la morte e chi, affamato, sta ancora aspettando che il loro caro torni con almeno un pezzo di pane. Di atrocità su un campo di guerra, che poi guerra non è, se ne vedono tante, tutti i giorni. Forse, vedere persone ridotte a scheletri e morire di stenti è una delle peggiori immagini che vediamo apparire costantemente sui nostri telefonini. Strumentalizzare gli aiuti alimentari, appropriarsene e farli diventare un’arma, è forse uno dei livelli di inumanità più bassi mai toccati.
Non solo, mentre a centinaia cadono sotto i fucili dell’IDF, altri muoiono intossicati da pillole di ossicodone. Vari media, come Al Jazeera, hanno riportato che Israele avrebbe nascosto nei sacchi di farina delle pillole di ossicodone, che è un’oppioide estremamente potetente, i cui effetti variano ma che in generale procura vertigini, confusione mentale, e anche sedazione. In una situazione come quella dei palestinesi, in cui rimanere vigile può salvarti la vita, mischiare ossicodone negli aiuti umanitari è veramente una mossa meschina e disgustosa a dir poco.
L’uso militare degli aiuti alimentari da parte di Israele, che blocca i camion e le barche ricolme di cibo e latte in polvere, che spara sui civili disarmati in fila per una misera ciotola di zuppa di ceci, e che lascia morire di fame migliaia di innocenti, mostra ancora una volta come il cibo sia una delle armi più potenti in guerra e come, in questi tempi più che mai, il cibo sia politica.
Un Calice di Dazi - La Guerra che Colpisce il Made in Italy
Se pensate che il cibo diventi politica solo nei luoghi dove c’è la guerra, vi sbagliate. L’Italia sta attualmente affrontando una battaglia economica che potrebbe portare grandi danni al made in Italy. La guerra dei dazi è stata iniziata da Donald Trump il 2 aprile 2025, quando gli USA hanno annunciato dazi del 20% sui prodotti Europei, aumentati in queste ore, al 30% a partire dal 1° agosto.
I dazi, sono tariffe che vengono imposte sui prodotti che l’Italia, per esempio, esporta negli Stati Uniti, tra cui spiccano olio d’oliva, la pasta e il vino. Il valore complessivo dei prodotti agroalimentari esportati dall’Italia negli Stati Uniti è di circa 7.8 miliardi, mentre quello dei prodotti vinicoli è di circa 2 miliardi, ovvero il 25% dell’export totale di questo settore. Proprio l’industria enologica, rischia una pardita stimata di 323 milioni di euro all’anno con le tariffe del 20%, destinata ad aumentare con l’incremento dei dazi al 30%.
Così, prodotti di fama mondiale come il Prosecco diventano strumenti di pressione e manipolazione in una guerra il cui obiettivo degli States è quello di rinegoziare gli equilibri e gli accordi commerciali globali. È proprio quando i prodotti alimentari simbolo del made in Italy finiscono sotto attacco che ci rendiamo conto di quanto il cibo sia anche politica.
A Digiuno per la Giustizia - Lo Sciopero della Fame
Infine, se oggi si è tornati a mettere in primo piano l’intersezione tra cibo e politica, c’è chi da anni usa il cibo e la fame come forma di protesta. Lo sciopero della fame è una forma di protesta non violenta, utilizzata da una o più persone per esprimere il loro dissenso e attirare l’attenzione su una certa causa. Questa forma di protesta pacifica che rifiuta l’assunzione di ogni tipo di cibo, ha origini antichissime e fu storicamente usata da grandi personaggi politici come Gandhi, durante la lotta per l’indipendenza indiana dalla corona britannica.
Lo sciopero della fame più famoso forse, fu quello del 1932, dove nella prigione di Yeravda, Gandhi decise di digiunare per contestare il provvedimento emanato dal governo MacDonald e l’istituzione di elettorati divisi. Il suo digiuno durò 6 giorni, prima che il Governo britannico revocasse il provvedimento. Oggi questa forma di protesta pacifica è ancora molto diffusa. In India, Jagjit Singh Dallewal, leader del movimento contadino indiano, ha recentemente terminato il suo sciopero della fame lungo 123 giorni, che andava in supporto delle richieste economiche dei contadini, tra cui la garanzia di un prezzo minimo di sostegno da parte del governo.
Anche in supporto al popolo palestinese, studenti ed attivisti da tutto il mondo hanno aderito ad uno sciopero della fame, più o meno lungo, che ha visto la partecipazione di figure rilevanti nel mondo social del settore culinario, come Max La Manna, chef esperto nella cucina anti-spreco. Insomma, anche quando viene rifiutato, il cibo diventa un attore fondamentale in proteste per dissensi politici, confermando che il cibo è politica.
Un piatto di spaghetti al pomodoro non è solo un semplice piatto di pasta, ma è il simbolo di un privilegio e di una scelta che ha un impatto politico, talvolta, significativo. Cosa portare nelle nostre cucine e sulle nostre tavole, è un piccolo gesto quotidiano che ci dà il potere di contribuire positivamente ad una causa più grande.
Cambiare supermercato, scegliere un altro marchio di pasta e provare una nuova Cola, possono mandare un messaggio a chi si è dimenticato che è la gente comune che sostiene le loro imprese, e che la maggior parte non ha nessuna intenzione di contribuire al massacro di migliaia di innocenti o alle mille altre ingiustizie finanziate da cibo che non è più solo cibo, ma che è anche politica.